STANLEY KUBRICK

SHINING

 

Anno: 1980

Titolo originale: The Shining

Regia: Stanley Kubrick
Sceneggiatura: Stanley Kubrick

Interpreti: Jack Nicholson, Shelley Duvall, Danny Lloyd, Scatman Crothers, Philip Stone
Genere: horror

 

Jack Torrance, uno scrittore in cerca di ispirazione, accetta un lavoro di custode per il periodo invernale in un isolato albergo montano del Colorado: l'Overlook Hotel. Raggiunto l'albergo con moglie e figlioletto viene informato dal proprietario di un inquietante tragedia verificatasi anni prima: il guardiano precedente, impazzito per l'isolamento fece a pezzi moglie e due bambine per poi suicidarsi. Il piccolo Danny, figlio di Jack, è dotato di un potere extrasensoriale, lo "shining" (luccicanza), che gli permette di vedere gli avvenimenti passati, e di comunicare telepaticamente. Lo scrittore sembra subire fortemente il fascino malefico del luogo, al punto da immedesimarsi nel vecchio guardiano, intraprendendo un'allucinante viaggio nell'inconscio e negli orrori che cela l'Overlook hotel. Arduo, quasi ai limiti dell'impossibile, riuscire a trovare parole adatte ad omaggiare la grandezza di questo straordinario capolavoro del cinema (non solo horror). Il tutto è reso ancora più impegnativo ricordando la nota idiosincrasia del regista americano nei confronti delle analisi esegetiche sui suoi film, ed in genere per tutto ciò che concerne un'eccessiva razionalizzazione delle sue opere. Nonostante ciò, risulta quasi istintivo esprimere un opinione a riguardo, essendo Shining una tappa fondamentale non solo per i kubrickiani, ma per tutti i veri appassionati di cinema. E' noto quanto il linguaggio cinematografico di Kubrick sia strabiliante, ai limiti dell'umana comprensione: questo film conferma appieno queste doti. I suoi virtuosismi tecnici lasciano senza fiato, e rappresentano un continuo riferimento per qualsiasi cineasta: suggestive carrellate, eccezionali inquadrature, scelte cromatiche personalissime e di fortissimo impatto, fotografia ipercurata negli interni e negli esterni, e si potrebbe andare avanti ancora per molto. Non c'è nulla di questo film che non sia praticamente perfetto, che non rappresenti una eccezionale opera cinematografica, che non scolpisca un solco indelebile nell'immaginario di tutti noi. Dal punto di vista prettamente tecnico mi soffermerò solo su alcuni aspetti particolarmente rilevanti, dato che analizzarli tutti richiederebbe decine di pagine. La prima caratteristica che balza prepotentemente all'occhio è l'uso innovativo della "steady-cam". Questo tipo di macchina da presa, è dotata di sistemi idraulici che le permettono movimenti estremamente fluidi, assecondando una mobilità spaziale che non sarebbe mai possibile con una cinepresa tradizionale. Kubrick ne fa un uso parsimonioso ma talmente suggestivo nella famosissime riprese alle spalle del bambino in triciclo, da collocare quelle sequenze in una sorta di manuale del provetto regista. La minaccia indefinibile dell'Overlook sembra essere continuamente presente, muta e inesorabile. La scelta del regista sui tempi di sequenza e sul sonoro è da brividi, assolutamente geniale. Un altro importante elemento è rappresentato senz'altro dalle scelte cromatiche e fotografiche che pervadono il film. L'albergo (tutto ricostruito in studio) ha in ogni suo ambiente una sua particolare caratterizzazione nel colore, sempre molto evidente. L'Overlook è visto come "organismo" pulsante, con tanto di arterie (i corridoi rossi), organi (le sale), sangue (le scioccanti visioni di Danny) e cellule impazzite. Ancor più sgomenti lascia il totale controllo delle dinamiche di pathos e ritmo narrativo che possiede il regista americano, grazie anche alla sua ben nota maestria nel controllo del montaggio. Assolutamente notevole la sopraffina abilità kubrickiana di immergere lo spettatore in una sorta di scenario da incubo, celato dietro la più normale e ordinaria quotidianità. Indimenticabili le musiche, alcune scritte appositamente per il film da W.Carlos e R.Elkind, ed altre selezionate dallo stesso regista nei repertori di alcuni tra i più notevoli compositori del 900' come Bela Bartok, György Ligeti e Krzystof Penderecky. La grandezza e la notorietà del film è dovuta anche all'incredibile atmosfera creata da queste musiche, terrorizzanti anche senza il supporto delle immagini. Il senso di minaccia che grava già dalla prima sequenza (riprese dall'alto in elicottero, campo lungo), trasmette una profonda inquietudine latente, un sentore di qualcosa che dovrà accadere, inevitabile, terribile. L'auto guidata da Torrence nei sentieri verso l'hotel ha forti analogie con la carrozza che si inerpica verso il castello stregato, protagonista di tante fiabe. Un hotel che non a caso si chiama "Overlook" come guardare dall'alto, dominare, ispezionare, sorvegliare: terminologia dai molteplici significati, tutti estremamente calzanti nella rappresentazione della minacciosa e immota entità malvagia identificabile nel luogo. Un hotel-mente quindi, capace di attrarre, sedurre, incatenare l'essere umano nella condizione di mero burattino esecutore di morte, di succube esponente della rappresentazione stessa del male. Un male che agirà nella maniera più subdola e implacabile, che trasmetterà a chi lo può vedere con la speciale lente (lo "shining" di Danny) la sua terrificante presenza come "schegge" impazzite, frammenti di altri io oramai perduti nei meandri più oscuri del subconscio. Praticamente assenti gli effetti speciali, proprio perché il film stesso è un effetto speciale: Kubrick riesce con maestria ineguagliata a creare sequenze di un terrore inaudito, aggiacciante, senza versare praticamente neanche una goccia di sangue. Il suo è un continuo profanare la mente dello spettatore, il suo mezzo espressivo è incredibilmente elevato, capace di mettere in scena un orrore sottilissimo, impalpabile, ma tra i più efficaci della storia del cinema. La paura caratterizzante di Shining fa parte delle paure insite in ognuno di noi, anche se spesso al livello sub-cosciente. Un orrore psicologico quello di Kubrick, si potrebbe definire addirittura "mentale": è l'orrore dell'animo umano, della malvagità insita nell'uomo. Tra i vari significati psicologici presenti nel film il labirinto è uno dei più evidenti e (forse) affascinanti. Un labirinto come evidente metafora dell'inconscio, come cammino interiore verso la conoscenza dell'io più profondo, ed al tempo stesso come sistema di difesa posto a guardia di un luogo sacro o di un oscuro segreto. Uscire dai suoi meandri è di solito molto difficile: esso può identificare la perdizione, la follia, la morte ed al tempo stesso la salvezza, in un sottilissimo gioco di parti, dove i molteplici significati si intrecciano e si sovrappongono. Impossibile esimersi dallo spendere qualche parola sul romanzo omonimo dal quale è stato tratto il film, ed ovviamente sul suo celebre creatore. Sono consapevole del fatto che a questo punto i lettori si schiereranno dall'una o dall'altra parte; forse mi farò dei nemici ma la questione è fondamentale e non va evitata. Ritengo King un grande forgiatore di idee, con una spiccata sensibilità nei confronti del fantastico ed un'ottima capacità di elaborare gli spunti che affiorano continuamente nella sua fervida immaginazione. Tutto ciò grazie anche all'ottima cultura letteraria che possiede e da cui costantemente attinge, vedi Matheson, Bradbury, Lovecraft, ovvero grandi maestri del genere che rappresentano le principali influenze dello scrittore del Maine. A questo punto però i miei commenti positivi purtroppo terminano! King non è un grande scrittore, e questo lo si percepisce continuamente: la sua prosa è spesso sciatta, a buon mercato, e soprattutto il suo mezzo tecnico è davvero rozzo e limitato. Lo stile è quello del tipico romanziere da supermercato o da Autogrill, che scrive ciò che la gente (media) vuole leggere senza impegnare troppo il cervello, in funzione soprattuto di quanti libri si possano vendere. So che molti non saranno d'accordo ma in quasi tutte le opere di Stephen King l'arte è come un "optional" gradito ma non necessario, e comunque troppo spesso assente. Ciò che le tiene in piedi sta solo nell'idea, che è sempre interessante (proprio come nel caso del romanzo in questione), ed a volte davvero bella, degna dei grandi scrittori del fantastico che tanto lo hanno ispirato. Ma venendo al film le sue dichiarazioni su di esso denotano tutti i suoi limiti, mettendo soprattutto in evidenza quanto il suo orgoglio sia stato ferito da una trasposizione cinematografica che trasforma in un capolavoro il suo mediocre racconto, che non sarà certo ricordato tra le sue cose migliori. Tutto quello di cui è capace King è polemizzare su quella o quell'altra scena resa in modo differente dal romanzo, cercando contortamente di spiegare quanto la sua visione dell'orrore sia differente da quella di Kubrick. Ma la cosa che sinceramente più colpisce è l'ossessiva caparbietà dello scrittore nell'affermare in varie interviste rilasciate che -"Kubrick ha fatto un film di un genere che non capisce"- (vedi anche interv. in Futuro News, Fanucci editore, gennaio 1993) quando in realtà sembra proprio lui a non aver capito la grandezza del film e la profondità del suo messaggio. Il disappunto Kinghiano sembra solo figlio di un'invidia latente, che non sarà ammessa nemmeno in punto di morte, e soprattutto del palato molto poco raffinato dello scrittore in fatto di cinema (vedi anche il pessimo "Maximum Overdrive", in Italia "Brivido", 1986, da lui stesso diretto). In realtà Stanley Kubrick è universalmente riconosciuto come regista completo, capace di spaziare con incredibile maestria in tutti i generi cinematografici, ricordando che la parola "genere" risulta alquanto impropria per le sue opere. Il tutto con straordinaria sensibilità artistica ed insuperabile talento; un autentico titano del cinema. I suoi film sono opere d'arte di un uomo che vedeva la realtà dietro una m.d.p., e la vedeva con un senso morale, una lucidità, una raffinatezza che è molto difficile riscontrare in altri grandi registi della storia. E Shining, ovviamente, ne è un validissimo esempio. Sfortunatamente non credo che queste doti appartengano neanche al miglior Stephen King (non me ne vogliano i suoi numerosissimi fans). Forse il nodo cruciale della faccenda sta proprio qui. Per King c'è solo la superficie del film horror, lui non riesce a vedere (e capire) altro. Ma Shining non è solo un grandissimo film horror; è un grandissimo film. E' un esperienza unica che ogni cinefilo dovrebbe vivere (o aver vissuto), è un opera che rimarrà per sempre e di cui tutti sempre si ricorderanno e citeranno. E' un profondo messaggio trasmesso con arte, è filosofia fatta immagine: è grande cinema.

 

(da www.splattercontainer.com)